
Arianna Balloch: “Seguo il mio istinto nelle scelte che prendo!”
Equilibrata e sensibile, custodisce una grazia naturale che conquista senza clamore. Cerca armonia in ogni gesto, ma non teme la profondità emotiva. Ha uno sguardo dolce e deciso, capace di cogliere le sfumature dell’animo umano. Ama il bello, ma soprattutto ciò che è vero. È accogliente, ma sa proteggersi. In lei convivono delicatezza e fermezza, come in una danza sottile.
Arianna Balloch, forma, funzione e semplicità: sono queste le regole del suo lavoro?
Sì, sono le mie parole chiave. E, in realtà, sono anche l’unico modo che conosco quando inizio a progettare qualcosa.
La creatività è proprio questo, secondo me: non è solo fantasia, ma anche saper usare le informazioni che abbiamo e il nostro bagaglio culturale, e sensoriale, per risolvere un problema. Quando hai unito tutti i puntini, la forma giusta viene quasi da sé, sia che sia un prodotto, un logo, un impaginato o qualunque altro progetto.
Come ha raggiunto la libertà di scegliere con chi lavorare?
È un percorso su cui sto ancora lavorando: ci ho messo quasi vent’anni e un bel po’ di coraggio. Ho collaborato per molto tempo con realtà che mi hanno permesso di crescere, ma succedeva che a volte mi sentissi fuori posto. Così, ad un certo punto, ho capito che la mia sensibilità non era più un difetto da gestire, ma piuttosto qualcosa da valorizzare.
Oggi, da freelance, sto imparando a riconoscere cosa mi dà energia e cosa invece non fa per me, e cerco di seguire il mio istinto nelle scelte che prendo.
Quale rapporto la lega con i suoi clienti?
Un rapporto di complicità. Non mi interessa lavorare “per”, ma lavorare “con”.
Mi piace proprio entrare nel mondo del cliente, capirne le ambizioni, le aspettative. Per questo tendo sempre ad allargare lo sguardo, a ragionare in modo più ampio rispetto alla semplice richiesta. E mi entusiasmo molto facilmente, il che, chiaramente, ha i suoi pro e i suoi contro. Ma in generale, quando un cliente si sente ascoltato, vedo che si fida, e si affida.
Cosa la spinge a prevenire i problemi degli altri?
È il mio modo di prendermi cura degli altri. Fin da piccola ho sempre avuto uno sguardo attento, allenato ad osservare le emozioni e i dettagli. Non riesco a ignorare qualcosa che proprio non funziona, anche se ogni tanto questo vuol dire complicarmi un po’ la vita.
È un modo per dire: “voglio che le cose ti vadano bene, anche se tu non me lo stai chiedendo”.
Lo faccio nella vita di tutti i giorni, è proprio parte di me. E con i clienti… uguale.
Che soddisfazioni cerca nelle sue esperienze?
In tutte le situazioni ho bisogno di trovare un senso, di riconoscermi in qualcosa.
Nei rapporti umani cerco gentilezza, autenticità, e soprattutto coerenza. Mi piacciono molto le persone che non si rendono conto del loro potenziale, perché sono le più stimolanti.
Nel lavoro mi dà molta soddisfazione vedere un cliente che si emoziona davanti a qualcosa costruito su misura per lui, perché so che riconosce quel valore in più: non solo nel risultato finale, ma anche nel percorso che abbiamo condiviso assieme.
Cosa le ha lasciato l’esperienza a New York?
È stata un’esperienza — di studio e lavoro — molto forte, che mi ha costretto a fidarmi di me, ad improvvisare, e a decidere da che parte andare, anche quando non avevo idea di dove mi trovassi.
Lì ho scoperto dei lati nuovi del mio carattere, e anche una forza che non sapevo di avere. Avevo quella lucidissima incoscienza di chi sta per buttarsi nel vuoto. E alla fine mi ha lasciato la consapevolezza che, se ti impegni, puoi fare tutto.
Esiste l’incastro perfetto tra due scatole?
Le scatole fanno parte del mio modo di ragionare: mi piace mettere ordine, creare incastri, trovare allineamenti dove prima c’era soltanto il caos. Questo vale sia dentro un cassetto, dove ogni cosa trova il suo posto, sia anche in una gabbia grafica con i giusti pesi, o in un calendario appuntamenti ben organizzato.
Le scatole mi piacciono così tanto perché allenano la mia capacità di sviluppare una visione d’insieme, e di saper prendere le misure ad occhio.
I gatti sono la sua passione: cosa pensa che vi accomuni?
Crescere assieme ai gatti mi ha insegnato che puoi voler bene anche senza doverti spiegare. Amo la loro indipendenza, il modo in cui ti scelgono. I gatti sanno osservare, studiare, aspettare il momento giusto.
Spesso sono incompresi: sono esseri schivi e un po’ complicati. Per stare con loro devi saper interpretare i segnali e, soprattutto, accettare la distanza. Ma, per me, è proprio questa la parte più soddisfacente: quando un gatto ti si addormenta in braccio, facendo le fusa, ti fa subito sentire a casa.
UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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