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Caterina Di Fant: “Il mio ingombrante sesto senso è un ottimo compagno di viaggio”!
È una donna con una energia travolgente e una presenza magnetica. Coraggiosa e determinata, affronta la vita come un’avventura, spinta da passione e istinto. Non teme le sfide! Generosa e leale, guida con naturalezza chi le sta accanto, pur mantenendo una forte indipendenza. La sua luce è quella di un faro, intensa e inarrestabile.
Caterina Di Fant, cosa significa crescere già sapendo di voler fare il teatro?
Significa avere una passione da coltivare ed essere coltivati da una passione. E le passioni salvano la vita: permetto di crescere dando un senso all’esistenza, nutrendo i sensi e mantenendo viva la direzione verso il Sé cui si desidera approdare. Voler fare teatro, per me, significa, ed ha significato, continuare a crescere nel dialogo.
Il Teatro della Sete è quello che si immaginava da bambina?
No, il Teatro della Sete è una compagnia nata dall’esperienza di formazione intrapresa dopo l’adolescenza. Si è generata come lavoro di squadra e ancora oggi, dopo 24 anni, è una materia in evoluzione, è un sogno perennemente da completare. Far parte di una compagnia significa aderire ad un progetto collettivo, disposto a tener conto dei desideri e delle peculiarità di più persone, siano esse permanenti o in transito all’interno del gruppo.
Perché sono le storie a ispirarla?
Perché dalla contemplazione nasce l’immaginazione. Raccontare, raccontarci… sentir raccontare permette di comprendere gli altri, consente di avviare una lettura e una narrazione condivisa del mondo circostante. Penso le storie aiutino a ricordare, a riscrivere, a esplorare l’interiorità, e a definire valori, ad attribuire un significato all’esperienza. La narrazione rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza anche intollerabile di eventi.
Fare teatro è un atto civile?
Certamente. Essendo un atto pubblico è di per sé civile. Ed essendo un’arte dal vivo è fatta per il dialogo. Il teatro si interroga sulle crisi, sulle ingiustizie, sui valori, sui ruoli del singolo e della collettività. È la diretta espressione di un “sentire” comunitario. È un’arte fondata sulla relazione, mette in relazione l’individuo con l’altro da sé, mantiene vivo il confronto con le necessità civili e sociali.
Quanto è grande oggi la sete di teatro nella nostra comunità?
Ha una dimensione variabile, dipendente da molti fattori, che possono essere legati all’età delle persone, alle abitudini della famiglia di origine, ai luoghi, all’amministrazione politica dei Comuni, alla distanza che intercorre tra le case delle persone e i luoghi del teatro. Ha una misura variabile e va sempre nutrita. Per la fascia delle nuove generazioni, cui mi dedico fuori e dentro le scuole, spesso compito del teatro è anche farsi conoscere da alcuni per la prima volta: questo significa produrre significati, significati aprire finestre, trovare soluzioni per restare, creare altra sete e poter tornare a coltivare un dialogo, fornire anche un linguaggio espressivo che prima era inesplorato.
Come influenza le sue scelte il suo sesto senso ingombrante?
È un ottimo compagno di viaggio. È una bussola che mi ricorda i cardini: ovvero mi rammenta che siamo in tanti, che siamo in transito, e siamo in movimento su direzioni infinite.
A lei piace guardare il cielo, ricerca o quiete?
Entrambi: è contemplazione e al contempo allontanamento dal rumore di fondo.
Lei si sente parte di qualcosa?
Dello spazio relazionale. Delle plurime forme dell’amore. L’amore come descritto da Christiàn Bobin quando scrive che “Non abitiamo regioni e non abitiamo la Terra: ma abbiamo per dimora ciò che amiamo”.
UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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