Un incontro inaspettato

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So e Nanà
So e Nanà
Un incontro inaspettato
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Ad una decina di chilometri da Bosco Pineta, si ergeva una città sul mare, un piccolo borgo di pescatori, non c’erano mai turisti perché mancava la spiaggia, la gufetta Nanà aveva capito che agli uomini interessavano molto le spiagge, il perché non riusciva proprio a comprenderlo.

Le piaceva sbirciare dalla finestra, osservare gli abitanti e le loro case.

La incuriosivano molto quelle strane cose appese alle pareti, e quando poteva prendeva un piccolo souvenir, una volta giunta nella sua tana lo appendeva al muro, non sapeva in realtà perché lo facesse, ma le piaceva avere un bottone o un nastrino attaccati alla parete.

Quella notte mentre rientrava dal suo giro notturno, fu attirata verso una piccola fontana, dalla quale un’ombra indefinita si dimenava schizzando acqua ovunque.

Atterrò silenziosamente sul tetto vicino, per osservare meglio la scena. Notò una creatura misteriosa, che indossava una strana mascherina sugli occhi, legate alle zampine posteriori, aveva due foglie di magnolia. Prendeva grossi respiri, gonfiava le guance, e si tuffava sotto acqua ma le foglioline lo facevano galleggiare e rimanere perpendicolare al fondo, in mano teneva un legno, che brandiva come fosse un coltello, puntandolo verso delle piccole mattonelle di colore giallo oro.

A Nanà sembrava tutto molto insolito, si doveva trattare di un losco individuo.

Alle riunioni cittadine si parlava spesso di queste strane figure, che vestivano in modo strano, parlavano ancora più strano, e che facevano cose stranissime.

“Che paura” pensò Nanà.

A ben guardare, quel singolare esserino, non si comportava in modo spregiudicato e terrificante, ma piuttosto in modo goffo e vagamente ridicolo. Le sue azioni sembravano senza senso, la scaltrezza diabolica del criminale incallito, forse, non era proprio così. C’era qualcosa di involontariamente comico, in quel suo agire, primo: quegli occhiali giganti, che si riempivano d’acqua.

“Ma a cosa serviranno mai?” si domandava la gufetta, ruotando la sua testa a 90 gradi: “… e quelle foglie attaccate alle zampette? Lo fanno oscillare come il pendolo di un orologio, ma cosa sta facendo quel coso là, in mezzo alla fontana? I tipi loschi sono veramente molto strani”.

Nanà, più di una volta, dovette sforzarsi per non ridere.

La creatura non identificata ogni volta che riemergeva starnutiva, tossiva, soffiava fuori acqua dal naso, diciamo che uno scaltro manigoldo, uno se lo immagina in un’altra veste.

“Alla prossima assemblea dovrò chiedere delucidazioni in merito ai loschi figuri” pensò meditabonda.

Stava per riprendere il suo viaggio verso casa, cominciava ad albeggiare, e i gufi, si sa, preferiscono la notte.

Si voltò per dare un’ultima occhiata alla creatura, quando si accorse, che non si muoveva più, era ferma a penzoloni a testa in giù, zampine verso il cielo, musetto verso il fondo della vasca.

Voleva scappare via, in fin dei conti, l’assemblea aveva sempre avvertito di tenersi alla larga dalle creature minacciose, ma a ben guardare non sembrava così temibile, senza neppure rendersene conto, volò verso la fontana, afferrò le zampette che spuntavano dall’acqua e lo sollevò, traendolo in salvo.

Ma cos’era quello strano animale, lei non aveva mai visto nulla di simile.

Si accorse che non respirava più, non c’era tempo da perdere, doveva agire subito, si ricordò di una tecnica di salvataggio, che aveva recentemente appreso da un libro intitolato “Una lince su Marte”, non propriamente un manuale di medicina, ma non le veniva in mente niente di meglio.

Inizialmente fu titubante, saltò sulla pancia svolazzando per non fargli male, ma visto che nulla accadeva, cominciò a saltare come se fosse su un tappeto elastico … al terzo salto, l’animale sconosciuto cominciò a buttare fuori l’acqua, dal naso, dalla bocca, dalle orecchie.

“Ma quanta acqua aveva ingerito???”. Pensò perplessa Nanà.

Dopo un colpo di tosse e tre starnuti i loro sguardi si incrociarono, la piccola creatura misteriosa, si appallottolò tutta, facendo uscire degli acùlei, che finirono per pungere la zampa della gufetta.

“Ehiii, mi hai fatto male!” gridò Nanà.

“Guarda che io ti ho salvato, non si fa così con chi ti aiuta!”

Spalancò le ali e volò su un ramo a guardarsi la zampetta dolorante.

“Non volevo farti male, ma mi saltavi sulla pancia, poi mi fissavi, ho preso paura, cosa credi, fa paura quando ti saltano sulla pancia, e poi, mi fissavi, saltavi e mi fissavi con i tuoi grandissimi occhi arancioni, non volevo farti male te lo giuro, anzi grazie.

Non riuscivo più a nuotare, ero così stanco… mi sono addormentato, potevo morire sai?” sospirò lo sconosciuto.

“Ma tu, sei un losco animale?” domandò Naná dandogli le spalle.

“Ma no, nooo, cosa dici? Io sono buono, sono un piccolo riccio domestico, vivevo in un bel giardino con una signora con i capelli tutti bianchi, ma poi lei è sparita, e la casa è stata distrutta, sono arrivati altri uomini e mi hanno cacciato. Hanno costruito un minimarket sul mio prato, ed io sono rimasto senza casa, adesso vado in giro da solo, senza meta, tutto da solo.

Vado a scoprire nuovi posti, mi piace così …

No! No no no, non voglio più una tana, non voglio più che nessuno me la porti via, quindi, basta! Non voglio niente, così nessuno può portarmi via più nulla … aaaah ho imparato la lezione, cosa credi?”

Il tono di voce del riccio era sempre più alto, stava urlando come un matto e si sbracciava e gesticolava: “…  è quando hai qualcosa che ami, che arriva qualcuno a portartelo via, e tu soffri, e so io quanto si soffre. Hai capito, non mi imbroglia più nessuno. Io ho un piano per ogni cosa adesso non mi può più …”

“Come ti chiami?” Lo interruppe Nanà

“Mi chiamo So” rispose titubante poi prese nuovamente coraggio e con voce perentoria disse: “io sono il riccio So e voglio …”

“Si si ho capito” lo interruppe nuovamente la gufetta “vuoi stare solo, non vuoi più soffrire, non vuoi niente… ho capito”. Poi aggiunse: “Ma forse vorresti mangiare qualcosa?”

La pancia di So brontolò, Nanà senza dargli il tempo di rispondere, lo prese piano piano con gli artigli e lo portò al Bosco Pineta. Cercò di non farsi vedere da nessuno, c’era già un po’ di luce, le strade cominciavano ad animarsi dovevano fare veloci.

Non poteva presentarsi con uno straniero domestico, era necessario preparare la comunità non si poteva fare così, senza preavviso.

“Devo studiare un piano d’azione ma intanto So ha fame, è un riccio da giardino e ha sempre avuto qualcuno che si prendesse cura di lui poverino, chissà da quanto tempo non mangia un pasto decente? Gli darò un po’ di torta zanzarina e da bere un bicchiere di luppolosa, si, sono sicura, andrà tutto bene” pensava sbadigliando, mentre cercava di entrare nella sua casa.

Nella quercia erano finalmente al sicuro, si accertò che So finisse di mangiare tutto, poi lo salutò, dandogli una copertina calda di piume e foglioline secche.

“Oggi, starai qui con me, domani vedremo” gli disse Nanà

So recuperate le forze rispose squillante: “io non ho bisogno di una casa, sto bene solo, non ho bisogno di niente …”.

“Sii, sì sì, ho capito” sorrise Nanà.

“Però adesso fammi dormire.”

So era un po’ contrariato, quella gufetta non prendeva abbastanza seriamente le sue parole, ma la torta era veramente buona, la luppolosa era andata giù senza fatica lasciandolo un po’ intorpidito, la copertina era molto calda.

“Infondo che male c’è a dormire qui una notte…” pensò sorridendo.


I racconti del riccio So e della gufetta Nanà, è un testo originale di Nicoletta Agosto, la voce narrante è di Renata Bertolas, la produzione e il sound design sono di Michael Hammer.

I racconti del RICCIO SO e della GUFETTA NANA’ li ascolti sulle piattaforme Amazon Music, Spotify, Google Podcast e Apple Podcast

Autore

  • Da bambina voleva diventare una pianista, una trapezista del circo o una Charlie’s Angels... Crescendo le idee sono cambiate tuttavia, sono rimaste sempre confuse. Durante questa lunga ricerca di senso su quale fosse esattamente il suo ruolo nel mondo, ha viaggiato molto, studiato filosofia ed imparato ad amare l’arte. Abita a Udine insieme al marito, alla figlia e al gatto Ortensia.

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