L’armonia coerente di Silvia Pillin.
A 12 anni trova l’uomo della sua vita, e sceglie di diventare una scrittrice.
È una matematica per scelta, ma si laurea in Lettere per vocazione.
La narrativa per ragazzi, è una passione nata durante un’esperienza lavorativa alla Mondadori.
Dalla personalità complessa, è sempre alla ricerca di qualcosa che la faccia emergere.
Femminista quanto basta, è golosa di dolci. Impaziente ed irrequieta, cresce in Azione Cattolica, ma oggi si dichiara Atea.
Perché Silvia Pillin decide di diventare una scrittrice?
Ho deciso che sarei diventata una scrittrice a dodici anni, quando mi sono resa conto del potere che avevano le parole su di me; mi trasportavano in altri mondi, mi facevano ridere, piangere, trattenere il fiato. Da quel momento non ho più cambiato idea. Anche perché i libri, contrariamente alle persone, non mi hanno mai delusa.
Mi fa la Hit Parade delle sue opere?
Ho pubblicato il mio primo libro nel 2013. Si intitolava “Sono uno scrittore, ma nessuno mi crede”. Dopo sono venuti: “Childfree, Sono un mostro, non voglio avere figli”, “Roba da self-publishing”, “100 e più cose da sapere per chi vuole visitare Vienna”, “Ti voglio bene lo stesso”, “Non un romanzo erotico”, “Annunci FaceBook per scrittori”, “Maschiaccio e Femminuccia”, “L’inventario delle mie stranezze” e per ultimo è appena uscito “Un miglio al giorno”, il romanzo di cui sono più orgogliosa e che io vorrei che più persone possibili leggessero.
Il suo ultimo libro l’ha portata a correre. Scrivere e correre hanno punti in comune?
Scrivere e correre per me sono la stessa cosa. Due attività faticose che non mi piace fare, ma che mi piace aver fatto. Tutte e due sono una forma di meditazione. Tutte e due mi aiutano a star sana di mente. Tutte e due richiedono disciplina e costanza.
Lei scrive quotidianamente per capirsi. Esercizio o necessità?
Scrivo perché semplicemente non potrei farne a meno. C’è chi ascolta musica, cura le piante, fa maglia, gioca ai videogiochi, va in moto. E io scrivo.
Perché, attraverso il linguaggio, si spostano i confini della propria vita?
La mia citazione preferita dice “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Credo che sia vero. Io me lo immagino come il tabellone di Risiko. Ogni parola conquistata, ogni lingua conosciuta permette di conquistare un nuovo territorio.
Al tempo dei sòcial, come è cambiata la comunicazione?
Grazie ai social possiamo comunicare potenzialmente con tutti in tempo reale, e tutti possono comunicare con noi. Credo che sia un’opportunità straordinaria che purtroppo non viene sempre sfruttata al meglio.
Come si trovano le parole giuste in questa società?
Trovare le parole giuste richiede tempo e nel mondo in cui viviamo oggi, in cui tutto va sempre più veloce, trovare le parole giuste è un lusso che in pochi si possono concedere. E come se tutti dovessero avere un’opinione su tutto, immediatamente. Il risultato però, secondo me sono tante parole sbagliate, sprecate. C’è una bella citazione di Pascal che dice “Se avessi avuto più tempo avrei scritto una lettera più breve”. Secondo me è proprio così. Per scrivere le parole giuste ci vuole tempo.
Udine è una città per scrittori?
A Udine ci sono molte belle librerie, biblioteche, c’è la notte dei lettori ed è sicuramente un terreno fertile per chi vuole scrivere. Però allo stesso tempo credo che non siamo più nel Settecento, nell’Ottocento, quando c’erano i caffè letterari e quindi c’erano dei luoghi fisici in cui essere scrittori. E grazie alla rete, infatti, si può trovare la propria comunità di scrittori amici ovunque. Rispetto ai luoghi, non sono una scrittrice legata al territorio, ci sono autori che rendono città o regione dei veri e propri personaggi, penso per esempio alla Napoli di Elena Ferrante. Invece nei miei romanzi il fuori il contesto è quasi sempre indeterminato e potrebbero essere ambientati tutti in una città qualunque.
Perché le cose che possiede la preoccupano?
Ho sempre avuto con gli oggetti un pessimo rapporto e ho capito fin da bambina che non mi davano soddisfazione. Per esempio desideravo un giocattolo per mese, poi mi arrivava Natale, ci giocavo due giorni e dopo smetteva di essere interessante. Quel senso di delusione rispetto alle cose mi è rimasto. C’è una citazione che mi rispecchia molto, che dice “Più cose possediamo, più preoccupazioni abbiamo”, ed è il motivo per cui cerco di avere meno cose possibili.
Praticità, essenzialismo, e creatività, come si mescolano nella sua vita?
Questi tre aspetti sono in perfetta armonia tra di loro, perché il modo in cui scrivo, in cui mi vesto, in cui gestisco gli spazi, si rispecchiano l’uno nell’altro, sono essenziali perché non hanno bisogno di tante parole, tante sovrastrutture. Trovo che tra tutti questi aspetti ci sia una forma di coerenza che mi permette di essere efficace e produttiva quando vivo i miei spazi, la mia creatività e le mie passioni.
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UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la voce sintetica di Vittorio, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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