
Calze e cultura: Ricami di simboli nascosti nella tradizione.
Per le donne, le calze erano un segreto intimo, nascosto sotto strati di gonne; per gli uomini, erano un simbolo di stile e funzionalità, messe in mostra sotto i pantaloni al ginocchio. Ma cosa raccontano davvero questi indumenti? Quali significati si intrecciano nelle loro trame?
Calze sottili, abbraccio leggero, sfiorano la pelle come un pensiero.
Pensiamo alle prime calze, realizzate a mano, intrecciate con lana o cotone, materiali semplici e naturali che offrivano calore e resistenza. Anche quando iniziò la produzione industriale, le calze realizzate a mano rimasero irrinunciabili per la loro unicità e durata: il lavoro di mani abili e creative trasformava un oggetto comune in qualcosa di speciale, che portava in sé tracce di personalità e cultura.
Le donne friulane, ad esempio, erano vere maestre in questa lavorazione; ogni calza diventava un piccolo capolavoro artigianale con disegni fantasiosi e vivaci abbinamenti cromatici, spesso creati durante i brevi momenti di pausa o mentre camminavano verso i campi. Quando le calze si danneggiavano, le donne trovavano modi ingegnosi per prolungarne la vita: si conservava il gambale integro e si rinnovava la soletta, una riparazione che portava con sé l’impronta di una mente lungimirante.
Questi accessori, oltre alla bellezza, hanno una grande praticità: pensiamo agli “scufoni”, le sopracalze pesanti confezionate con il vello di capra e il filato grezzo, che uomini e donne indossavano per proteggersi dal freddo, dai rovi o persino dal morso delle vipere, o ai pescatori, che rendevano le loro calze impermeabili trattandole con olio di lino, adattandole così alle proprie esigenze quotidiane. Indossate o celate, anche le calze erano segni che raccontavano, in modo sottile ma potente, l’identità di un popolo.
Umberto Eco affermava: “I vestiti sono degli artifici semiotici, cioè delle macchine di comunicazione”.
La semiotica, disciplina che studia i segni e il loro significato, è uno strumento potente per comprendere la moda e il suo valore culturale, ricordandoci che i segni non hanno un significato fisso.
Allo stesso modo, nella moda, il valore di un capo o di un accessorio cambia in base al contesto culturale, sociale e temporale in cui viene indossato.
Guardare alla moda tradizionale, quindi, rivela che nulla è “naturale” nell’abbigliamento, nemmeno le distinzioni tra capi maschili e femminili.
Simboli come le calze, lo scarpèt, o il fazzûl ci ricordano che la moda è, in fondo, un’espressione di identità culturale: uno spazio aperto alla creatività, in cui le tradizioni si rinnovano e si reinterpretano costantemente.
Esplorare il passato e la storia dei costumi ci invita a liberare la moda da convenzioni rigide, riscoprendone il vero potenziale: offrire a ciascuno lo spazio per esprimere sé stesso con autenticità, oltre i confini delle norme sociali.
Grazie per avermi ascoltato. Ti aspetto nel prossimo episodio di Radici in Stoffa.
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Radici in Stoffa è un podcast originale di Silvia Cacitti, realizzato in collaborazione con il Museo Etnografico e il Patrocinio del Comune di Udine. Tutte le puntate di Radici in stoffa le puoi trovare su udinepodcast.it
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