
Marzia Nobile: vulnerabilità e performance, la mia forza nascosta!
Vagabonda nell’anima, ma custode del cuore, vive in equilibrio tra il desiderio di esplorare il mondo e il bisogno di proteggere ciò che ama. Entusiasta, empatica, sorprendente. Ogni sua scelta è un atto d’amore, ogni passo un’avventura. Ama con intensità, sogna con forza e agisce con coraggio gentile.
Marzia Nobile: far star bene le persone è il suo lavoro o la sua passione?
Far star bene le persone al lavoro è la mia passione. Non a caso, proprio ultimamente abbiamo fondato a Milano un consorzio che si chiama “Decentral”. È un’alleanza radicale tra imprese per lavorare su questi temi. È una sfida ambiziosa, ma direi che è il momento di chiudere un po’ con i modelli organizzativi del passato e scegliere invece modelli organizzativi più flessibili, inclusivi, nuovi, che danno autonomia ai team.
In che modo DOF contribuisce a costruire una cultura organizzativa sana e consapevole?
DOF è una società, ma a noi piace sottolineare il fatto che è soprattutto un gruppo di amici e un laboratorio di ricerca che da 28 anni circa unisce mondi diversi, dalla filosofia alla psichiatria all’antropologia, per mettere a punto un metodo che è molto creativo ma al contempo anche molto rigoroso. Ma per rispondere alla domanda direi che soprattutto lavoriamo per le persone e con le persone.
Cosa la affascina di più nel lavorare con la complessità degli adulti?
Ogni fase del ciclo di vita di una persona presenta complessità molto diverse e forse è proprio questo ciò che mi affascina. Se invece penso alla mia esperienza nel mondo della formazione degli adulti, allora ciò che mi affascina di più è arrivare dopo anni di educazione tradizionale e poter proporre loro una visione completamente diversa di ciò che può essere un’aula. E infine c’è il tema a me tanto caro del “Daimon”, dalla filosofia greca il “Daimon” è quella forza interiore che ci porta a realizzare il nostro disegno.
Che differenza c’è, secondo lei, tra formare e far emergere?
La scuola di cui abbiamo esperienza è un luogo in cui spesso gli insegnanti pensano di avere davanti degli allievi che sono delle tabule rase in cui imprimere un segno. Invece io credo che dovrebbe diventare un luogo di conoscenza di sé e del mondo, e di pratica di sviluppo e di scoperta della propria motivazione profonda, dei propri talenti. Il mondo, sono ottimista, ha bisogno che le persone siano esattamente ciò che sono. Aggiungerei che l’educazione ha e deve avere un ruolo politico, un ruolo sociale nel promuovere il cambiamento. E quindi credo che più che formare dovremmo fare emergere proprio quel cambiamento di cui ormai non possiamo più fare a meno.
Cosa significa per lei abitare un’organizzazione in modo consapevole?
Nel nuovo percorso sulle organizzazioni decentrate lavoriamo sull’idea che il potere non sia più incardinato in una forma gerarchica tradizionale. Quindi, abitare un’organizzazione in modo consapevole significa, ad esempio, integrare le diversità per diventare comunità. Possiamo prendere spunto e fare riferimento alle culture tribali di tutto il mondo che hanno sempre saputo che le comunità e il cambiamento sono sacri.
Lei è una performer, strumento di lavoro o cura della propria anima?
Da buona friulana parto da una base di timidezza e anche da un lieve disturbo di attenzione. Ad un certo punto però mi sono accorta che entrare in performance per me è un modo per centrarmi. Quindi mi aiutano ad andare oltre la paura di parlare in pubblico, mi aiutano ad andare oltre al fatto di non sentirmi adeguata e mi aiutano a focalizzarmi. Quindi è uno strumento che mi permette di indebolire quel giudice interiore e di darmi il permesso di essere vulnerabile, emotiva e tutto ciò che voglio essere.
Nel lavoro e nella vita, dove trova bellezza e senso?
Nella vita, sicuramente nella connessione con la natura. La montagna, in particolare, per me è il luogo dello spirito. Nel lavoro… alla fine lavorare sull’idea di comunità significa anche poter vedere come le persone più fragili, più in difficoltà, ad un certo punto ottengono potere, riconoscimento e aiuto.
Se dovesse dare un nome al paesaggio interiore che la rappresenta oggi, quale sarebbe?
Direi Sottosopra. Grandi contraddizioni, saperi diversi che trovano armonia attraverso quell’idea di performance di cui parlavo prima. E sicuramente non un paesaggio bucolico ad acquerello, ma un paesaggio movimentato in cui c’è però lo spazio di danzare nel caos.
UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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