
Matteo Macuglia: “Sono allergico al passato, guardo tutto come fosse nuovo”!
Sognatore e avventuroso, unisce profondità emotiva e desiderio di esplorazione. Vive guidato dall’intuizione e da una visione idealista. Empatico e creativo, si lascia ispirare dalle emozioni e dalle storie che lo circondano. Libero nello spirito, e ricco di immaginazione, affronta la vita con curiosità, sempre alla ricerca di un significato.
Matteo Macuglia, cosa rende stimolante essere un reporter?
Beh è un lavoro che si impara solo facendolo, come il falegname, come il muratore, che ti mette a contatto con le persone e che ti costringe ogni volta a correggere un po’ il tiro perché le persone sono tutte diverse quindi non c’è una formula che funziona per parlare con tutti, no? Bisogna ogni volta tararsi su chi si ha di fronte, sul momento che sta vivendo la persona che hai di fronte. Io mi occupo di cronaca nera, quindi vado sempre da persone che sono in un momento o di sofferenza o di pressione perché magari sono dal lato dei colpevoli, diciamo, no? Ovviamente le altre cose stimolanti di questo lavoro sono il fatto che si viaggia tanto, che si conoscono dei posti che altrimenti non si sarebbero mai visitati. È un lavoro particolare, diciamo.
In Star Wars, saga che lei adora, ogni eroe ha un mentore: chi è stato il suo?
Restando nella metafora, potremmo dire che il mio tempio Jedi è stato sicuramente il master in giornalismo alla IULM di Milano che mi ha sicuramente formato e addestrato, ecco per rimanere così in tema. Il mio mentore, direi che è stato il mio attuale caporedattore che si chiama Rosa Teruzzi, che è una persona che ha trascorso tutta una carriera facendo cronaca, gli ultimi 10-15 anni solo cronaca nera e tra l’altro è anche una scrittrice di gialli, una persona veramente a cui puntare volendo essere giornalista.
Quali sono le sfide più grandi nel raccontare la verità?
Eh sono, intanto non lasciarsi coinvolgere a volte da delle storie che magari per una serie di fattori tendono a esserti prossimi, no? E poi bisogna stare attenti a non lasciarsi un po’ trascinare dall’onda mediatica che poi quando prende ovviamente ti trascina lei dove vuole, quindi la difficoltà del nerista è tenere la barra dritta rispetto a quella che è la tua prospettiva sull’inchiesta, sull’indagine e cercare appunto di non farti trascinare magari nelle cose anche più voyeuristiche, più pruriginose che a volte si prestano molto ai racconti.
Come si costruisce un racconto giornalistico capace di catturare lo spettatore?
Lavorando a Quarto Grado ho sicuramente scoperto che mentre la tendenza naturale è guardare la situazione generale, in realtà quello che colpisce di più gli spettatori spesso sono i dettagli. Sono quei dettagli che poi ti riportano a delle situazioni di vita quotidiana, no? E poi sicuramente i dettagli delle ore prima della morte o dell’omicidio sono spesso dettagli molto interessanti e che ci dicono molto della psiche sia della vittima che dell’aggressore.
Mediaset è la sua casa, 4° Grado la sua famiglia: l’istinto investigativo è la sua vocazione?
No, in realtà non direi, nel senso che io ho questo difetto che mi viene rinfacciato a volte che sono estremamente garantista come persona, no? Quindi tendo sempre a dire: “No, ma figurati se quello ha fatto quella… Ma no, ma sicuramente è solo un pochino così in realtà”. Invece spesso mi sbaglio e quindi mi sorprendo io insieme al lettore e allo spettatore di quello che succede. L’istinto investigativo poi è una cosa che impari però con la pratica ad affinare e a notare delle cose che sono strane e a dare a volte più peso a delle cose che dici: no, ma dai.
Come riesce a mantenersi obiettivo, quando tratta temi complessi o controversi?
È difficile e non sempre ci si riesce perché ovviamente il punto di vista del comunicatore è comunque un punto di vista di parte. Secondo me le due cose sono: la prima, ricordarsi che noi siamo il tramite. Noi giornalisti non dobbiamo mandare un messaggio noi personale. La seconda è un po’ il rispetto anche delle nostre regole deontologiche che ci imporrebbero e ci impongono una correttezza nel trattare le persone a prescindere dalla loro posizione nelle storie che, se tenute in considerazione secondo me fanno un buon giornalismo di per sé.
Perché fatica a mettere in classifica le cose?
Perché credo che le cose che ci piacciono cambiano nel tempo e cambiamo anche noi nel tempo. Io sono molto allergico a vivere nel passato, quindi cerco di rimanere stimolato e di guardare sempre le cose come se fossero tutte nuove e quindi poi faccio molta fatica a fare una classifica uno, due, tre, quattro, cinque. Riesco forse a dire il primo e già mi costa tanta fatica.
Da reporter: Come descriverebbe Udine?
Udine è una città, secondo me, bella, tranquilla, in cui io torno molto poco spesso, purtroppo, ma lo faccio con grande piacere. E se lo devo dire con una frase probabilmente è la città dove mi piacerebbe crescere i miei figli ma dove probabilmente non crescerò i miei figli.
UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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