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Patrizia Cleri: la pedagogia come vocazione e i giochi come linguaggio del cuore

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Patrizia Cleri: la pedagogia come vocazione e i giochi come linguaggio del cuore
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Patrizia Cleri: la pedagogia come vocazione e i giochi come linguaggio del cuore

Elegante e determinata, unisce fermezza con la grazia. Ama l’armonia, la bellezza e le cose fatte con cura. Ha un gusto raffinato e una forza tranquilla che ispira fiducia. Pragmatica nei gesti, e guidata da ideali profondi, costruisce relazioni solide con sensibilità e coerenza. Sa aspettare, scegliere, e valorizzare tutto ciò che davvero conta.

Patrizia Cleri, come si diventa accompagnatrice nella scelta di strumenti educativi?

L’inizio di questo lavoro è stato di fatto casuale. Non è stata casuale però tutta la preparazione che poi arriva da lontano. Penso a quando alle superiori marinavo la scuola per rifugiarmi alla biblioteca universitaria per andare a leggermi i testi di pedagogia, sostanzialmente, che per me erano proibiti e interessantissimi. Oppure penso al desiderio di comprendere veramente come il bambino impara e in un modo o nell’altro. Comunque vivo in mezzo ai bambini da sempre. Leggo, studio, approfondisco quello che li riguarda e quindi per me sono una fonte inesauribile di interesse e di fascino.

Dopo un lungo percorso, arriva a Gioeca per caso: cosa l’ha catturata?

Sicuramente il clima umano, perché è un gruppo che desidera creare valore in maniera autentica. E poi sicuramente i giochi. Per me è stato proprio un portone che si spalancava su giochi nuovi e diversi da tutto quello che conoscevo. Interessanti, belli dal punto di vista “montessoriano”, utili, versatili, un vero mondo.

Come seleziona i prodotti da esporre in negozio?

La regola principe è che il gioco deve avere un senso di esistere. Amo i giochi poi che si trasformano, che crescono insieme ai bambini e quindi offrono sempre stimoli diversi. E amo i giochi che sono piacevoli per la mente, per le mani e per gli occhi e che possibilmente si coniughino anche con il progetto educativo che è personale di ogni famiglia, di ogni genitore.

Il gioco può essere una forma di terapia?

Più che altro può essere un fantastico modo per costruire del benessere all’interno della famiglia, sostanzialmente, perché il bambino esplora se stesso e il suo modo di relazionarsi attraverso il gioco. Ma è anche il genitore che ha bisogno di scoprirsi e di evolvere in questo suo ruolo. Ed è quindi tutta la famiglia intera che riesce a creare qualcosa di bello proprio attraverso questo strumento potente.

Cosa significa per lei “rimettere in circolo”? È un atto di generosità o una necessità sociale?

Prima di tutto è una necessità personale, in realtà. Prendere le energie, i saperi e le esperienze di cui ho goduto nel tempo e poterle rimettere a disposizione è sicuramente qualcosa che a me dà ossigeno puro. E in questo senso devo dire che lo trovo un modo economico e condivisivo per creare valore e quindi a questo punto diventa un vantaggio sociale.

Lei è anche una cantante: sul palco emerge un’altra Patrizia?

Forse un pochino sì, nel senso che si nasconde un po’ la Patrizia che si prende cura di qualcuno ed emerge più un po’ il lato intimo e fragile. Di sicuro continua a emergere l’entusiasmo, questo mi accompagna sempre.

Crede che i giochi tradizionali possano insegnare qualcosa che quelli moderni non riescono a trasmettere?

Allora diciamo che i giochi che ci sono adesso ricalcano i tempi e quindi sono velocissimi, sono improntati alla velocità e la velocità non consente l’approfondimento. E se da una parte non credo che il gioco debba insegnare qualcosa, è vero anche che credo che sia uno strumento validissimo per conoscere se stessi, gli altri, per creare. E nulla di tutto questo può avvenire nella velocità.

Quale gioco, secondo lei, racconta meglio il tempo in cui viviamo?

Trovo che i giochi ispirati all’Agenda 2030 raccontino molto bene l’impegno dell’umanità nell’educare queste nuove generazioni a essere cittadini più consapevoli, cittadini del mondo. E quindi tutti i giochi che toccano temi enormi come il benessere ambientale, la mondialità, l’equità sociale, l’inclusione. Perché in questo modo davvero, forse non noi, ma i nostri figli renderanno un mondo migliore e in cui è più bello intessere relazioni, vivere, creare valore e condividerlo.


UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.

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Autore

  • Michele Menegon

    Se indossi una maschera che funziona, è ora di cambiarla! A 18 anni entro a far parte dello staff di una radio locale e nel 1989 approdo a Radio Italia Network. Ideatore del programma radiofonico techno Master Quick, tra il 1992 e il 1995 produco alcuni dischi, il più famoso dei quali è Barraca Destroy. Nel 1996 divento Direttore Artistico di Radio Italia Network e sono il primo in Italia a credere che la gestione e la messa in onda della radio dovessero passare attraverso i computer. Nel 2000 entro nella casa discografica Hit Mania come Direttore Generale, lanciando il fenomeno Lùnapop. Nel 2001 torno alla radio per seguire lo start-up del progetto Radio LifeGate. Dal 2002 al 2007 mi occupo di consulenza artistica per agenzie pubblicitarie e web company, e in parallelo entro nel mondo del fitness, ottenendo diverse certificazioni: dal Pilates al Rowing, dallo Spinning al Bose ecc. Dal 2008 sono Product Manager di Music Master, il software leader mondiale per la programmazione radio-televisiva. Nel 2011 costruisco con Alessandro Bellicini il progetto digitale di Golf Today, seguito poi dalle testate Amadeus e Sci. Nel 2019 portiamo il know-how all’editore Publimaster per le testate Golf & Turismo e Sciare. Nel 2021 fondiamo 3Mind, con cui nasce il progetto Notizie Golf, che lascio nel 2022. Nel 2023 lancio il progetto Udine Podcast, con l’obiettivo di produrre podcast realizzati da udinesi. Il primo è Udinesi Dentro, ma oggi la piattaforma ospita anche: Manca il Sale di Annalisa Sandri I racconti di So e Nanà di Nicoletta Agosto DiscoSauro di Alessandro De Cillia Radici in Stoffa di Silvia Cacitti Spazio Comune, realizzato per l’azienda Chiurlo. Lo sport ha preso il sopravvento e sono diventato un triathleta. Un cancro, nel 2019, avrebbe potuto fermare tutto, ma grazie al reparto di oncologia di Udine sono ancora qui — con il mio tumore — a raccontare un’altra storia. Obiettivi futuri? Completare un Ironman prima dei 60 anni e costruire una palestra radiofonica dove insegnare ai ragazzi a fare radio libera! Lo so, sono progetti utopici. Ma bellissimi.

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