Tommaso Michieli: Solo in pochi mi capiscono davvero, e lo fanno meglio di me.
Affronta la vita con grande passione e determinazione. Dice ciò che pensa, e questo ha un impatto profondo. Magnetico e con un forte desiderio di libertà, è ottimista e interessato alle questioni filosofiche senza mai dimenticare la realtà. Non si arrende facilmente e, attraverso l’introspezione, ricerca costantemente l’equilibrio.
Tommaso Michieli, il suo essere architetto è DNA o dannazione?
Ma io nemmeno lo volevo fare l’architetto e i miei genitori l’hanno provato in tutti i modi a farmi fare altro. Poi alla fine ho pensato fosse la strada giusta per me, in fondo mi veniva pure abbastanza bene, visto l’imprinting di anni. La dannazione vera in realtà è stata quella di cavarmi via l’etichetta di figlio e nipote di… Ed è stata davvero una faticaccia quella di riuscire a dimostrare a tutti di riuscire a camminare con le mie gambe. Oggi che in fondo sono piuttosto definito nella mia individualità come architetto, in fondo sono piuttosto orgoglioso dello della mia archi-famiglia.
Dal suo punto di vista prospettico, come le appare Udine?
Insomma, Udine è un luogo con cui sono in un leggero conflitto da sempre. Ha una dimensione decisamente confortevole per il vivere quotidiano, ma manca un po’ di eccezionalità che tutto sommato negli anni sono andato a cercarmi per il mondo. Sostanzialmente credo che Udine qualche cosa in più potrebbe puntare a esserlo. Potrebbe provare a rafforzare uno sguardo curioso che porta dentro di sé e che da sempre mi sembra che abbia avuto. Mi piacerebbe trovare caffè letterari, poter mangiare anche i prodotti tipici friulani durante tutto l’anno, mi piacerebbe poi passeggiare in una China Town. Vorrei che la mia città riuscisse a tenere assieme queste sue anime e essere un po’ più speciale durante tutto l’arco dell’anno.
La ricomposizione dei frammenti, è il suo viaggio nell’architettura?
Direi che da sempre penso che l’architettura sia prima di tutto una forma di scrittura o narrazione. Ogni storia quindi non è altro che la somma di immagini, riferimenti, fotogrammi o meglio frammenti che appartengono a noi in quanto architetti, al contesto dove si colloca il progetto e al viaggio dei nostri clienti. Le tracce però non sono così evidenti, ma tanto è sufficiente che le capisca chi deve capirne.
Da 20 anni lavora assieme a Zanatta. Un’unione di fatto?
Direi proprio di sì. Tra l’altro un rapporto a distanza dal momento che io mando avanti lo studio di Udine, mentre Christian si occupa di quello di Treviso. Questa distanza, che di fatto per noi non è stata mai un limite quanto un’opportunità di unire culture, per quanto vicine, differenti. Infine, questa distanza ci ha permesso di sviluppare una qualità che è la più importante di tutte: la reciproca fiducia. Di fatto siamo molto diversi e questa diversità ci garantisce di non avere sovrapposizioni e di darci il reciproco spazio.
Lei, vive a 1.000 all’ora. Rallentare la renderebbe migliore?
Insomma, io ho sempre paura che le cose mi sfuggano tra le mani. Inizio una cosa e subito sono incuriosito da un’altra. E devo accelerare per provare a farne il più possibile. Non so se rallentare mi renderebbe migliore. Sto pur nella velocità, provando a ridurre e selezionare meglio le cose che faccio. È un lavoro complesso che di fatto non avevo mai fatto prima, ma adesso ho trovato un ottimo allenatore che mi sta aiutando.
Quali obiettivi si propone, la collaborazione con l’architetto Saponaro e il fotografo Falaschi?
Da alcuni anni io e Filippo ed Elia ci dedichiamo al viaggio nelle architetture che ci circondano. È così nato Architrip, un progetto che raccoglie le nostre esperienze. Ad oggi abbiamo pubblicato con la casa edificio Gaspari un libro A casa dell’architetto che raccoglie l’esperienza di 16 architetti che hanno realizzato le case per loro stessi. Abbiamo chiuso un primo ciclo di racconti d’architettura presso la libreria Tarantola, in cui 5 architetti di 5 generazioni differenti hanno raccontato il loro fare architettura. Obiettivi per il futuro, prima di tutto, è quello di provare a esportare il più possibile l’architettura friulana ma il progetto più ambizioso cerca di unire l’abitare, l’arte e l’architettura.
Perché il mercoledì torna bambino?
Uno dei vantaggi enormi di fare figli, secondo me, è quello di poter fare un altro giro di giostra. Io ho una figlia di 10 anni e da un po’ mi concedo il lusso di passare ogni mercoledì con lei e i suoi amici a giocare. Un po’ credo che a loro serva. Sicuramente serve a me a staccare la spina.
Lei… dice di capire le persone. Questo fatto è reciproco?
Io non so se capisco le persone, in realtà, forse non esattamente. Diciamo che ho una certa facilità a comprenderne i punti di forza. E poi, per attitudine, cerco di aiutarli, a valorizzarli come posso con i miei strumenti. In realtà capisco infinitamente meno me stesso. Detto ciò, appunto, io non credo proprio che gli altri mi capiscano, però ho la certezza che quei pochi che devono capirmi mi capiscono sicuramente meglio di come faccio io.
UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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