
Valentina Bianchi: “Puoi dire che sono una sognatrice, ma non sono l’unica”!
Coerente, riflessiva e affidabile, vive ogni fase della vita con disciplina e profondità. Ha costruito fondamenta solide fatte di impegno, costanza e valori essenziali. Non ama le scorciatoie. Preferisce il passo lento ma sicuro. Sa ascoltare, accogliere e proteggere. Il suo sguardo è concreto, ma la sua presenza scalda come una carezza. È roccia che sa fiorire.
Valentina Bianchi. Il 9 giugno ha iniziato uno sciopero della fame per Gaza. Perché ha scelto il corpo come strumento di comunicazione?
Tutto nasce da un insostenibile senso di impotenza. Sentivo su di me tutto il dolore di quelle persone ingabbiate e deliberatamente costrette alla fame. Ho sentito la necessità di agire, dovevo fare qualcosa, ho detto: “Non posso più stare a guardare.” Però dalla mia posizione di semplice cittadina l’unico potere che ho è quello sul mio corpo. L’intenzione era di agire su due livelli: sensibilizzare società civile e istituzioni, da una parte, e anche entrare in connessione profonda con quella sofferenza.
Cosa spera arrivi alle persone da questo gesto estremo e profondamente pacifico?
Da parte mia una cosa importante che vorrei che arrivasse è che pacifismo non significa in azione ma bensì significa azione non violenta. Poi vorrei che arrivasse il fatto che ognuno di noi con i propri mezzi, con la propria sensibilità, può e deve fare qualcosa. E poi infine che non possiamo essere felici disinteressandoci della sofferenza degli altri, vicini o lontani che siano.
Il silenzio che a volte circonda il dolore del mondo la spaventa più dell’indifferenza?
Ma, sono sincera, mi spaventano entrambi. Come mi spaventa molto la pigrizia che porta all’ignoranza, che porta le persone a non informarsi e a prendere posizioni anche aggressive senza conoscere veramente. Credo che siamo in un momento storico in cui troppe persone si esprimono senza avere gli strumenti per farlo consapevolmente.
Cos’è per lei l’emotività? Un limite da gestire o una forza da proteggere?
Diciamo entrambi. L’ho combattuta per anni perché la vivevo con vergogna e come un ostacolo. Ora in realtà l’ho accettata e ne ho fatta una forza. È proprio dalla profondità delle emozioni che sento che traggo la forza per combattere e superare gli ostacoli, come ad esempio il sacrificio del digiuno.
La sua esperienza più mistica è stata nel deserto tunisino. Che cosa ha sentito nel ventre della madre?
Questa cosa l’ho trovata sorprendente, perché in un ambiente estremo e potenzialmente ostile, in realtà mi sono sentita accolta e protetta, in totale simbiosi con quella che i popoli Andini chiamano la “Pachamama”. Quindi ho percepito una netta consapevolezza di essere parte di un tutto.
Lei si è costruita un lavoro all’interno di una realtà importante come UniCredit. Che sfida è stata?
È stata una bella sfida, perché pur venendo e rimanendo in provincia, sono riuscita a entrare in una struttura di governance e non è affatto facile. Poi portare una visione umanistica della leadership e delle relazioni professionali in generale è sfidante. Sono molto orgogliosa di questo mio percorso e molto grata a chi ha creduto in me in passato e a chi mi sostiene ora.
Cosa le piacerebbe lasciare, in chi lavora con lei?
Mi piacerebbe lasciare alle mie persone maggior consapevolezza di sé, la conoscenza dei propri talenti da un lato e qualche strumento utile ad agire sulle aree di miglioramento dall’altro. Tutto utile per essere professionisti più felici e anche essere umani migliori.
Se potesse scattare una sola fotografia per raccontare chi è oggi, dove la farebbe?
A Strawberry Fields, il memoriale a John Lennon, a Central Park a New York. È una sorta di giardino della pace che ospita piante e materiali provenienti da centoventi paesi diversi. Incarna proprio lo spirito e il messaggio di John Lennon. Nel cuore di questo giardino c’è un mosaico circolare, bianco e nero, con la parola “Imagine” al centro. Questa canzone è il mio inno: “You can say I am a dreamer, but I’m not the only one”.
UDINESI DENTRO è un podcast originale di Michele Menegon, la voce della sigla è di Gianmarco Ceconi, la musica di Massimo Cum, la post produzione e il sound design di Michael Hammer.
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